Post 09- Discopatie e dolori cronici: facciamo chiarezza.
Il disco intervertebrale è una struttura fibro-cartilaginea interposta fra due corpi vertebrali e il suo compito è quello di ammortizzare i movimenti vertebrali.
Il disco è composto da una struttura lamellare esterna contenitiva chiamata anulus fibroso, una parte centrale elastica chiamata nucleo, e una barriera cartilaginea (end plate) che separa il disco dalla vertebra.
L’anulus fibroso è composto da un maggior numero di fibre cartilaginee rispetto al nucleo polposo, il quale è costituito da fibre di collagene che si trovano all’interno di un gel di mucoproteine, ricco di polisaccaridi.
Particolare è il fatto che il nucleo polposo non sia perfettamente localizzato al centro del disco, bensì posteriormente, così da rendere la zona posteriore più fragile e soggetta ad erniazioni, a causa della minor presenza di fibre di collagene.
La barriera cartilaginea è una lamina di cartilagine ialina che, attraverso il processo di diffusione, nutre il disco (1).
La colonna vertebrale comprende 23 dischi: 6 cervicali, 12 toracici e 5 lombari, che insieme rappresentano circa un quarto dell'altezza totale della colonna vertebrale.
Morfologia biochimica e biomeccanica
Morfologicamente l’anulus fibroso è diviso in due parti distinte: una esterna, chiamata zona lamellare, e una interna, nota come zona di transizione.
La zona lamellare contiene una maggior quantità di fibre di collagene rispetto alla zona di transizione. Queste fibre sono principalmente costituite da collagene di tipo I e sono prodotte dai fibroblasti, le cellule presenti nella zona esterna dell'anulus.
Questa zona è inoltre composta da strati concentrici di fibre collagene separate da setti di tessuto connettivo più lasso, in cui si trovano le cellule.
La zona di transizione ha una struttura lamellare meno definita ed è per lo più composta da tessuto connettivo denso, in cui sono sparse cellule dalle caratteristiche simili ai condrociti.
Nella zona intermedia le cellule mostrano caratteristiche fibrocartilaginee.
La differenza tra questi due fenotipi è che le cellule simili ai condrociti producono collagene di tipo II e proteoglicani, mentre le cellule fibroblastiche producono collagene di tipo I (1)
Il nucleo polposo contiene meno cellule, le quali sono immerse in una matrice extracellulare più lassa rispetto all'anello fibroso. Queste cellule hanno caratteristiche simili ai condrociti e sono generalmente rotonde o ovali.
Nella zona del nucleo polposo il collagene di tipo II è predominante insieme ad altre glicoproteine, che insieme creano una matrice con fibre di collagene e fibre elastiche. Questa matrice contiene una quantità significativa di proteoglicani che contribuiscono a mantenere l’ambiente interno al nucleo ben idratato (2).
L'anulus fibroso e il nucleo polposo contribuiscono in modo differente al funzionamento del disco intervertebrale: l’anello fibroso ha una maggior concentrazione di collagene e di fibre elastiche che conferiscono resistenza alle forze di trazione. Quando il carico sul disco viene rimosso, l'anello fibroso recupera la sua forma originale grazie all'elasticità dell'elastina.
Il nucleo polposo invece ha una matrice meno densa con ampi spazi tra le fibre, che permettono un ingresso e un’uscita significativi di acqua. Grazie allo spostamento dell'acqua il nucleo polposo si adatta alle forze di compressione dall'alto, espellendo acqua quando è sotto carico e richiamandola dalla vertebra sovrastante o sottostante quando il carico viene rimosso.
In un disco sano e ben idratato l'acqua costituisce circa l'85-90% del nucleo polposo e il 75-80% dell'anello fibroso. Tuttavia con l'invecchiamento si verifica una progressiva perdita di acqua in entrambe le componenti. (3)
All'interno della matrice extracellulare gelatinosa del nucleo polposo è presente una notevole quantità di proteoglicani, in particolare un tipo denominato "aggrecano”, le cui strutture generano una pressione osmotica che consente al disco di trattenere o rilasciare acqua a seconda delle esigenze. Questo processo crea un gradiente osmotico effettivo che regola l'entrata e l'uscita di acqua in base alle circostanze. Quando la pressione dovuta ai carichi supera la pressione osmotica, si verifica una perdita di liquidi; al contrario, quando il disco non è sottoposto a carichi, si verifica un assorbimento di acqua. (4)
I dischi intervertebrali sono fondamentali nella funzione biomeccanica del rachide perché grazie alla loro sovrapposizione con elementi ossei (vertebre), sostenuti e amalgamati da legamenti e muscoli, riescono a rendere il rachide una struttura caratterizzata da motilità e stabilità.
In assenza di carico, il disco intervertebrale ha una pressione positiva intrinseca dovuta alla pressione idrostatica generata dal nucleo polposo. Questa pressione mette sotto tensione le fibre di collagene più resistenti situate nella zona esterna dell'anello fibroso.
Quando il disco è sottoposto a un carico, la pressione aumenta e le fibre entrano in tensione, fino a consentire al disco di deformarsi in modo proporzionale al carico applicato.
Questo processo permette al disco di assorbire il peso e di trasmetterlo alle vertebre circostanti e riduce lo stress eccessivo che altrimenti influirebbe sulle singole unità motorie della colonna vertebrale.
Se il carico persiste la pressione supera quella osmotica del disco, fino a causare una perdita di liquidi e una maggior deformazione del disco.
In tal caso si verifica un aumento della pressione osmotica interna, che si bilancia con la pressione dovuta al carico; quando il carico viene rimosso rimane un equilibrio di pressioni osmotiche, e il disco, supportato anche dalla componente elastica delle fibre dell'anello fibroso, può tornare alla sua forma originale.
La presenza degli aggrecani, insieme ad altre molecole, è fondamentale per generare la pressione osmotica necessaria a spostare i fluidi.
Tutte queste caratteristiche consentono alla colonna vertebrale di compiere movimenti su vari assi, sottoponendo i dischi a diverse sollecitazioni a seconda delle zone interessate dai carichi. Ad esempio, quando un carico agisce longitudinalmente sulla colonna si verifica una compressione assiale del disco che provoca l’aumento dell'espansione orizzontale del nucleo polposo e una tensione delle fibre dell'anello fibroso. Ciò comporta una protrusione circonferenziale del disco, che è più evidente nella parte posteriore.
La protrusione è influenzata dall'entità del carico e dalla pressione interna del disco; una diminuzione di quest'ultima comporterebbe una protrusione più accentuata delle fibre dell'anello.
Nei movimenti di flessione il disco è sollecitato in modi diversi a seconda del trattovertebrale in cui è collocato: nella metà anteriore si verifica una compressione delle fibre dell'anello fibroso, mentre nella parte posteriore le fibre sono in tensione. Nella flessione laterale, si osservano sollecitazioni simili, ma in senso laterale. Nell'estensione invece, le fibre posteriori sono soggette a compressione, mentre quelle anteriori sono in tensione. (5)
Degenerazione del disco
La fisiopatologia della degenerazione del disco è classificata secondo dei criteri (6), tra cui:
1) l’aumento della produzione di collagene di tipo I, in particolare nel nucleo polposo;
2) la diminuzione della produzione di aggrecano;
3) la sovraregolazione degli enzimi che danneggiano la matrice, come le metalloproteinasi;
4) l’aumento del rilevamento di citochine pro-infiammatorie, come il fattore di necrosi tumorale e l'interleuchina 1;
5) la presenza di promotori neurali come il fattore di crescita nervosa e il
fattore neurotrofico derivato dal cervello.
Di conseguenza, il cambiamento biochimico più significativo nella degenerazione del disco è la perdita di matrice extracellulare. Essa inizia dal nucleo polposo e riguarda proteoglicani e collagene II: la loro produzione diminuisce, per cui si altera il fenotipo cellulare.
La progressiva degenerazione del disco è frequente nell’uomo e in altre specie, in coloro in cui la notocorda scompare per essere sostituita da cellule mature del nucleo polposo.
Come discusso in precedenza, la calcificazione della placca terminale, come si osserva nell’invecchiamento e in alcuni disturbi del disco (7), riduce la permeabilità della stessa e quindi il nutrimento nel disco (8). Di conseguenza, la perdita di permeabilità della placca terminale è associata alla degenerazione del disco. (9)
È prevedibile che il disco è maggiormente in difficoltà a resistere alla compressione quando il suo contenuto di aggrecano è ridotto.
La deplezione dell'aggrecano può anche provocare un aumento dell'innervazione discale, con conseguente mal di schiena discogenico, comunemente associato alla degenerazione discale. (10)
Oltre alla deplezione dell'aggrecano, la degenerazione del disco porta a mal di schiena attraverso altri meccanismi, come la protrusione o la diminuzione dell'altezza del disco, che causa la degenerazione delle articolazioni delle faccette articolari per aumento del carico. (11)
All'interno dell'anello fibroso i livelli di frammentazione dell'aggrecano aumentano con l'età e la sua diminuzione è spesso associata alla degradazione della matrice extracellulare.
I fattori di rischio sono l'invecchiamento, l'obesità, lo stress cronico, l'esposizione professionale e il fumo. La genetica svolge un ruolo chiave nel meccanismo patologico e la progressione dei processi degenerativi è spesso inevitabile. (12)
Conseguenze
Con il passare del tempo, il processo di degenerazione del disco intervertebrale può portare a diverse complicazioni che si manifestano clinicamente attraverso sintomi significativi.
Una complicazione frequente è l'erniazione del materiale nucleare, che può verificarsi quando le fibre dell'anulus fibroso si deteriorano. L’ernia può causare delle compressioni delle radici nervose o del midollo spinale. È importante notare che il nucleo polposo si trova più vicino al margine posteriore del disco rispetto a quello anteriore, rendendo la zona posteriore delle fibre dell'anulus più vulnerabile alle rotture.
Le ernie discali si verificano principalmente nel canale vertebrale in posizione centrale o paramediana (ernia posteriore), oppure all'interno o all'esterno del forame di coniugazione (ernia intraforaminale ed extraforaminale).
Le ernie discali posteriori vengono provocate dallo spostamento delle strutture epidurali all'interno del canale vertebrale; successivamente si crea una compressione sul sacco durale, sulle radici nervose e sul midollo spinale. Il conflitto tra il disco e le strutture nervose causa la maggior parte dei sintomi neurologici.
Le ernie anteriori, che si verificano quando la zona anteriore dell'anulus fibroso si rompe e il nucleo fuoriesce, sono molto più rare delle posteriori e raramente causano sintomi.
Il materiale espulso può sporgere dai limiti delle strutture somatiche in modo segmentario o focale. Inizialmente, rimane collegato al nucleo polposo nel disco, in seguito può staccarsi completamente diventando un frammento erniario libero.
Le ernie discali si suddividono in contenute, protruse o espulse, a seconda del grado di fuoriuscita rispetto al disco e del rapporto con esso:
- Un'ernia contenuta comporta lo stiramento delle fibre dell'anello che vengono schiacciate dal nucleo, ma il nucleo rimane all'interno del disco, mantenendo la sua 'integrità.
- Nell'ernia protrusa il nucleo rompe le fibre dell'anello ed entra in contatto con il legamento longitudinale posteriore.
- Nell'ernia espulsa c'è una rottura completa dell'anello e il nucleo polposo fuoriesce completamente nel canale vertebrale.
Le ernie discali posteriori vengono ulteriormente suddivise in ernie sottolegamentose ed extralegamentose, a seconda dell'integrità del legamento longitudinale posteriore.
- Nelle ernie sottolegamentose il materiale supera le fibre dell'anello, ma rimane al di sotto del legamento longitudinale posteriore.
- Nelle ernie extralegamentose il nucleo polposo si fa strada attraverso il legamento longitudinale posteriore a causa di una sua lacerazione.
La degenerazione del disco spesso porta ad alterazioni delle strutture vertebrali circostanti, che rispondono all'aumentato stress meccanico causato dalla perdita di funzionalità del disco. Queste alterazioni comprendono l'osteofitosi vertebrale, la sclerosi delle ossa limitanti somatiche, le ernie di Schmorl e cambiamenti nella struttura della spongiosa e del midollo osseo. Inoltre, la degenerazione di un singolo disco porta a una ridotta mobilità del segmento in cui si trova, causando un aumento del carico sui segmenti adiacenti e accelerando il processo degenerativo dei rispettivi dischi.
L'osteofitosi vertebrale è la formazione di tessuto osseo nella giunzione tra il disco e la vertebra, in particolare sul margine antero-laterale dei corpi vertebrali. In alcuni casi, gli osteofiti possono localizzarsi sul margine postero-laterale e causare stenosi del canale rachideo e dei forami di coniugazione, quindi provocare sintomi neurologici. Gli osteofiti sono il risultato di un meccanismo di compensazione dell'osso in risposta a stimoli meccanici costanti dovuti alla distribuzione non uniforme dei carichi causata dal disco degenerato. Questo processo, in cui il disco diventa meno efficiente nel gestire i carichi, porta all'ampliamento della superficie articolare attraverso la formazione di osteofiti.
Nella zona del disco intervertebrale, a causa del riassorbimento del tessuto cartilagineo e la sua sostituzione con tessuto osseo, possono verificarsi delle crepe o fenditure. In alcune circostanze, il contenuto del nucleo polposo può protrudere attraverso queste fessurazioni: tali sporgenze sono denominate ernie di Schmorl. Queste ernie si sviluppano verticalmente seguendo le fessure presenti tra i piatti cartilaginei e il tessuto osseo, che spesso mostra segni di sclerosi. Possono verificarsi in entrambe le vertebre adiacenti al disco degenerato. Nella maggior parte dei casi, sono asintomatiche.
La riduzione dello spazio articolare tra le vertebre dei dischi degenerati porta a un accorciamento e un ispessimento dei legamenti vertebrali, ovvero i legamenti gialli e il legamento longitudinale posteriore. Nel tempo, ciò può causare una pressione sul sacco durale con conseguente stenosi del canale vertebrale. Inoltre, la diminuzione dello spazio tra le vertebre adiacenti permette a queste ultime di scorrere l'una sull'altra, provocando l’indebolimento dei legamenti, la sublussazione cranio-caudale delle faccette articolari corrispondenti e, infine, l'artrosi interapofisaria. Nelle fasi avanzate l'artrosi vertebrale posteriore può manifestarsi con cisti subcondrali o geoidi, sclerosi dell'osso subcondrale, osteofitosi, deformità articolare e spondilolistesi, che è definita come lo scivolamento anteriore di una vertebra rispetto a quella sottostante. (13)
Sintomatologia
Se la degenerazione del disco è accompagnata da un'erniazione del suo contenuto, oltre al dolore nella zona dell'ernia, si manifestano sintomi dovuti alla compressione delle radici nervose causata dal materiale che fuoriesce dal disco. Il tessuto nervoso può infiammarsi, e il dolore può irradiarsi in parti specifiche del corpo, a seconda di quale radice nervosa viene interessata, delle dimensioni dell'ernia e del lato in cui si verifica la protrusione.
La regione più vulnerabile ai fattori di stress meccanico è quella lombosacrale, responsabile di oltre il 60% dei casi di dolore alla schiena. Segue la zona cervicale, che causa circa il 36% dei casi di dolore alla schiena, mentre solo il 2% di essi coinvolge la regione dorsale.
Ernia lombare: (14)
Nella regione lombosacrale ci sono spazi tra le vertebre più soggetti a ernie, come L5-S1 e L4-L5, mentre altri livelli, come L3-L4, L2-L3 ed L1-L2, sono meno coinvolti. Le ernie lombari spesso causano dolore nella regione lombare e possono provocare sintomi di radicolopatia, come dolore, atrofia muscolare, debolezza, parestesie e alterazioni dei riflessi. Questi sintomi si verificano nelle aree correlate alla radice nervosa compressa dall'ernia.
Ad esempio, quando l'ernia comprime le radici di L5 e S1, in seguito a ernie tra L4-L5 e L5-S1, si parla di lombosciatalgia. Questa condizione provoca dolore lungo la parte posteriore dei glutei, della coscia e del polpaccio fino al calcagno. Il dolore è associato a cambiamenti nella sensibilità e alla perdita di forza nei muscoli innervati dalle radici colpite. Un'ernia che coinvolge la radice S1 causa una ridotta funzionalità dei muscoli del polpaccio come il gastrocnemio, il tricipite surale, il bicipite femorale e il grande gluteo, e può portare a una riduzione dei riflessi achillei (cioè relativi al tendine d’Achille).
Quando l'ernia comprime la radice L5 si riscontrano problemi di forza nei muscoli responsabili dell'estensione dell'alluce e della tibia.
L’ernia del disco può causare non solo dolore, ma anche deficit di forza e sensibilità. In rari casi, può persino causare la sindrome della cauda equina, in cui l’ernia schiaccia il sacco durale fino a provocare problemi urinari (S1-S2) che richiedono l’intervento chirurgico entro 48 ore.
Le compressioni della radice L4, dovute a ernie tra L3 ed L4, causano una condizione chiamata lombocruralgia, caratterizzata da dolore e parestesie nell'area anteriore della coscia, del ginocchio, della parte inferiore della gamba e alla caviglia. Questo dolore è associato alla debolezza del quadricipite, del tensore della fascia lata e degli adduttori della coscia, insieme a una riduzione della risposta al riflesso rotuleo.
Le compressioni che si verificano nei livelli superiori, come su L3, possono causare dolore, intorpidimento e parestesie nell'area anteriore della coscia e del ginocchio. In questi casi, la debolezza coinvolge i muscoli ileopsoas e quadricipite e si osserva anche in questo caso una riduzione del riflesso rotuleo.
Ernia cervicale: (15)
Le ernie cervicali possono essere classificate come ernie molli o ernie dure. Nelle ernie molli, si verifica la fuoriuscita esclusiva del nucleo polposo, mentre nelle ernie dure vi è una calcificazione del nucleo polposo degenerato e la formazione di osteofiti.
Le ernie di dimensioni considerevoli, specialmente se posizionate centralmente, possono esercitare pressione sul midollo spinale e causare una condizione sintomatica nota come mielopatia. Mentre le ernie paramediane e intraforaminali che comprimono le radici nervose, inducono sintomi di tipo radicolare.
La compressione della radice C6, causata da un'ernia tra le vertebre C6 e C7, si manifesta con dolore e alterazioni della sensibilità lungo la superficie antero-laterale del braccio, dell'avambraccio e del pollice. Si verifica una perdita di forza nei movimenti di flessione dell'avambraccio dovuta alla debolezza dei muscoli bicipite, brachiale anteriore e flessore radiale del carpo. In questa situazione si può osservare una riduzione dei riflessi del bicipite e del supinatore.
Una compressione della radice C7, dovuta a un'ernia tra le vertebre C6 e C7, causa dolore e alterazioni della sensibilità localizzate sulla superficie postero-laterale del braccio, dell'avambraccio, del gomito e sul secondo e terzo dito della mano. A livello muscolare si osserva debolezza nei movimenti di estensione dell'avambraccio e di presa della mano dovuta alla perdita di forza nei muscoli tricipite, estensori del carpo e delle dita della mano. Inoltre, il riflesso tricipitale può risultare ridotto o assente.
Quando è coinvolta la radice C8, generalmente a causa di un'ernia tra C8 e D1, si manifestano sintomi come dolore nella parte mediale dell'avambraccio e alterazioni della sensibilità nella faccia mediale del braccio, dell'avambraccio, e sulle superfici palmari e dorsali del quinto dito e della metà mediale del quarto dito. A livello muscolare si osserva una debolezza nei muscoli adduttore e flessore breve del pollice, nonché nei muscoli interossei e lombricali III e IV.
Ernie dorsali: (16)
Le ernie del disco dorsale sono più rare e sono spesso di tipo duro, cioè calcificate. In circa due terzi dei casi si collocano centralmente rispetto al rachide e producono sintomi di tipo mielopatico, tra cui dolori nella regione dorsale, debolezza agli arti inferiori, difficoltà nella deambulazione, ritenzione urinaria, stitichezza e alterazioni della sensibilità nelle aree innervate più in basso rispetto alla sede dell'ernia. Nel restante terzo dei casi si osserva una protrusione in posizione laterale che comporta sintomi di compressione radicolare, come la diffusione del dolore e disturbi della sensibilità nelle zone correlate alla radice interessata dalla compressione.
Stenosi: (17)
Non sempre la degenerazione del disco porta necessariamente a un'ernia. Il processo degenerativo può essere associato ad artrosi delle faccette articolari, ispessimento dei legamenti gialli e una maggior lassità dei legamenti in generale, che crea le condizioni per l'instabilità vertebrale e potenziali fenomeni di spondilolistesi.
Queste alterazioni contribuiscono a restringere lo spazio del canale vertebrale che, nella regione lombare, può portare a una compressione del sacco durale, contenente le radici nervose. Tra i sintomi tipici della stenosi del canale vertebrale, oltre al dolore e a possibili alterazioni della sensibilità, rientra la claudicazione neurogena, una condizione in cui durante la camminata si manifestano sintomi bilaterali, come il dolore, la sensazione di pesantezza agli arti inferiori e una progressiva perdita di forza, che costringono il paziente a interrompere qualsiasi attività. Quando ci si ferma, i sintomi tendono a migliorare, ma al riprendere la marcia, essi possono tornare ad apparire.
Terapie
Il trattamento della degenerazione del disco intervertebrale comprende una gamma di opzioni terapeutiche che varia da approcci conservativi, quali il periodo di riposo, l'uso di farmaci antinfiammatori e antidolorifici e la terapia manuale, fino a metodi più invasivi come le iniezioni epidurali e l’azione chirurgica.
Le strategie di trattamento devono considerare l'età di presentazione, le comorbidità, la gravità della patologia, la compressione degli elementi neurali e la stabilità della colonna vertebrale. (18)
Trattamento conservativo
Terapia non invasiva
L'esercizio fisico è raccomandato clinicamente in diverse linee guida (19). Contribuisce alla proliferazione delle cellule del disco intervertebrale, in particolare in caso di volume moderato o elevato, a bassa frequenza e ripetizione (20, 21). Ha inoltre un effetto sulla forza dei muscoli paraspinali e riduce il dolore e la disabilità (22). L’80% dei pazienti risponde alla terapia conservativa in una media di 4-6 settimane (23).
Kjaer et al. hanno dimostrato che la maggior parte delle ernie discali lombari (65%) non cambia di dimensione in un periodo compreso tra i 4 e gli 8 anni, il 17,5% diminuisce di dimensioni, il 12,5% aumenta di dimensioni e il 5% mostra cambiamenti nelle dimensioni del disco. Le ernie discali di grandi dimensioni tendono a ridurre nel tempo l'area del sacco durale e l'altezza del disco (24).
Il ruolo della terapia conservativa è quello di migliorare il benessere fisico del paziente e fornire una base per l'adattamento dell'organismo nell'attesa che la fase infiammatoria si attenui.
In genere, paracetamolo e farmaci antinfiammatori non steroidei (FANS), oppioidi e mio-rilassanti vengono somministrati ai pazienti che presentano una malattia degenerativa del disco sintomatica e senza controindicazioni a questi farmaci. Vengono somministrati in aggiunta all'educazione posturale, alla rassicurazione e alle opzioni di autogestione. La lombalgia cronica necessita di una riabilitazione multimodale oltre al trattamento somministrato per la lombalgia acuta. (25)
Si incoraggia il ritorno precoce all'attività nei pazienti con mal di schiena acuto.
Questi farmaci forniscono un sollievo dal dolore a breve termine, ma non hanno alcun effetto sulla progressione della degenerazione discale. (26)
Terapia invasiva
Iniezioni di antidolorifici e antiinfiammatori
La gestione del dolore può includere la somministrazione di farmaci antidolorifici tramite iniezioni locali. Oppure, attraverso farmaci anti-infiammatori, spesso steroidei, direttamente nel sito dell'infiammazione per un'azione mirata. Tuttavia, ricerche hanno dimostrato che dopo un periodo di 4 anni non ci sono differenze significative rispetto ai pazienti che non hanno ricevuto questo tipo di trattamento. Quindi, le iniezioni di steroidi sono principalmente utilizzate per il controllo del dolore durante la fase acuta della malattia, poiché contribuiscono a ridurre il gonfiore infiammatorio. (27)
Le iniezioni di epidurale di stereoidei (ESI) per il mal di schiena possono essere eseguite attraverso diverse vie: le vie di iniezione più comuni sono quelle interlaminare (28), transforaminale (29) e caudale (30). L'ESI viene somministrata nello spazio epidurale del midollo spinale. L'effetto dell'ESI non è definitivo e il tasso di successo a lungo termine è variabile.
Ozonoterapia
Si tratta di una procedura, che comporta l'introduzione mediante un ago di una miscela di Ossigeno-Ozono all'interno del disco interessato. L'ozono possiede proprietà antinfiammatorie che contribuiscono a ridurre la pressione sul disco e ad alleviare il dolore. La miscela di gas può essere iniettata direttamente all'interno del disco, all'interno del canale vertebrale (sotto guida radiologica) o nella muscolatura circostante. Gli effetti dell'ozonoterapia comprendono azioni antinfiammatorie, analgesiche, miorilassanti e un incremento dell'apporto di ossigeno nei tessuti. L'efficacia di questo trattamento è valutata nel periodo compreso tra 4 e 10 settimane e ha dimostrato risultati simili ad altre procedure poco invasive. (31)
Le iniezioni possono essere ripetute se necessario, e gli effetti collaterali sono rari. Pertanto, questo metodo non ha risposto al trattamento conservativo e non rappresenta un’alternativa all’intervento chirurgico. Tuttavia, studi futuri sono necessari per dimostrare se gli effetti dell'ozono persiste nel tempo. (32)
Nei casi in cui falliscano le tecniche conservative e/o il paziente presenti un peggioramento della sintomatologia, si da indicazione di intervento neurochirurgico.
Ma è sempre così?
Ci sono delle considerazioni da fare riguardo alla sintomatologia e a ciò che emerge da un eventuale esame strumentale che mostra le condizioni del disco intervertebrale.
Facciamo un esempio:
il Sig. Giovanni soffre da diversi mesi di un dolore lombare aspecifico e finalmente decide di rivolgersi al suo terapeuta. Qual è il giusto “modus operandi”?
L’articolo di Ogliari et al. 2023 (33) suggerisce che, secondo i partecipanti al suo studio (osteopati professionisti con almeno cinque anni di pratica clinica) la diagnostica per immagini ha un ruolo marginale nella pratica clinica, fatta eccezione per l’esclusione di segnali d’allarme o controindicazioni al trattamento.
In assenza di questi elementi un esame diagnostico non giustifica e rischia di causare più danni che benefici ai pazienti che soffrono di una lombalgia cronica aspecifica. (34)
Queste opinioni sono coerenti con i ricercatori precedenti che hanno dimostrato una debole correlazione tra gli esiti radiologici e i sintomi dei pazienti (35,36,37) e proposto delle linee guida che raccomandano di evitare esami se non sono appropriati (38).
Questa tendenza (39) insieme alla trasmissione di messaggi nocebici da parte di precedenti operatori sanitari, promotori di idee sbagliate (40), contribuisce a rendere più complessa la gestione di questi pazienti, influenzando negativamente le loro convinzioni, i comportamenti e la prognosi (41,42).
I partecipanti hanno sottolineato l'importanza di inquadrare i pazienti dal punto di vista biopsicosociale, ad esempio informandoli e coinvolgendoli nel processo decisionale sull'eseguire un esame strumentale e sulle opzioni di trattamento.
Questo perché Regev e colleghi (43) hanno dimostrato come i referti radiologici sono significativamente associati ad un aumento dell'ansia e della catastrofizzazione del dolore per la mancata comprensione della terminologia specifica.
A questo proposito, il Sig. Giovanni prima citato desidera ricevere informazioni dettagliate e personalizzate in modo chiaro e comprensibile sulla sua condizione, sulle possibili cause, sulle opzioni di trattamento e sulla prognosi (44,45).
I partecipanti allo studio considerano l'alleanza terapeutica uno degli elementi fondamentali del processo di cura (46).
I risultati di Ogliari e colleghi hanno evidenziato la necessità di rassicurare e istruire i partecipanti sul referto di imaging, utilizzando una terminologia semplice, comprensibile e non nocebica (47).
Dopo aver eseguito una scansione, è necessario contestualizzare il referto radiologico in base all'età e ai risultati clinici dei pazienti, informarli in merito a potenziali fattori non tissutali che possono contribuire ai sintomi (48,49,50,51)
In assenza di segnali di allarme gli osteopati dovrebbero essere in grado di legittimare l'esperienza dolorosa del paziente senza ricorrere all'uso di imaging e di indagare e possibilmente modificare le idee sbagliate del paziente in merito alle condizioni cliniche e al ruolo delle scansioni (52), evitando di etichettarli con una diagnosi patoanatomica (53), al fine di favorire un approccio assistenziale incentrato sulla persona (54,55).
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